Favoreggiamento: estesa esimente anche al convivente more uxorio

Con la sentenza n. 11476 del 14.3.2019 la Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione, pronunciandosi in tema di favoreggiamento personale, ha esteso la causa di non punibilità di cui agli artt. 307 e 384 comma 1, cod. pen. anche al caso di favoreggiamento commesso in favore del fratello della propria convivente di fatto.

Il caso

È stato posto in essere ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Venezia che confermava la pronuncia del giudice di prime cure avente ad oggetto la condanna di un uomo per il reato di favoreggiamento.

L’uomo de quo avrebbe aiutato il fratello della propria convivente a sottrarsi alle ricerche dei carabinieri, ospitandolo all’interno della propria abitazione nonché fornendo informazioni rivelatesi false agli organi di polizia in ordine alla presenza dello stesso nella propria casa.

Nel ricorso per cassazione il difensore dell’imputato domandava la censura della sentenza impugnata per violazione di legge atteso che la Corte di appello di Venezia, facendo riferimento alla sola nozione di famiglia legittima e senza tenere conto della L. 76 del 2016, non avrebbe configurato la esimente di cui all’articolo 384, comma 1, c.p.

Secondo i giudici di merito, l’imputato non era qualificabile quale “prossimo congiunto” ai sensi dell’art. 307 del codice penale.

I giudici della Suprema Corte partendo dall’analisi della L. 76/2016 – che estende la scusante ex art. 384 c.p. alle parti delle unioni civili – hanno evidenziato lo stato di profonda disparità di trattamento che investe i conviventi “more uxorio”.

Difatti, la L. 76/2016 – nota anche come Legge Cirinnà – estende la nozione di “prossimi congiunti” soltanto alle parti delle unioni civili non già anche ai conviventi di fatto; creando non poche difficoltà oggettive.

Ciò nonostante, i giudici, facendo leva su una interpretazione valoriale conforme a Costituzione nonché tenendo in considerazione la nozione estensiva di matrimonio accolta dalla CEDU, hanno annullato senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato ritenendo così applicabile l’istituto di cui all’art. 384, comma 1, cod. pen. anche ai rapporti di convivenza “more uxorio”, pur dopo la legge c.d. Cirinnà.

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